All’ombra del Sole Nero

“Meditate che questo è stato e che ciò che è accaduto può accadere di nuovo”. Sono questi alcuni dei versi più celebri della poesia “Se questo è un uomo”, scritta da Primo Levi per ricordare la terrificante esperienza vissuta dagli ebrei durante l’Olocausto. Una tragedia che Levi ha vissuto personalmente ad Auschwitz e che è diventata la parabola di un intero popolo. Con la Shoah, infatti, gli ebrei hanno visto realizzarsi per la prima volta il proprio genocidio. Un lucido sterminio a cui si è giunti poco per volta e nel silenzio generale. A dispetto di quanto si possa immaginare, l’antisemitismo non è cominciato in Germania con il Nazionalsocialismo. Esso era largamente presente in Europa da almeno cinquanta anni e costituiva uno dei principali argomenti impiegati dalla retorica nazionalista per propagandare le proprie idee. Tipico, in tal senso, è stato “l’Affare Dreyfus”, che nel 1894 vide imputato per alto tradimento Alfred Dreyfus, capitano dell’esercito francese, da parte della magistratura militare di Parigi. Il caso, che divise l’opinione pubblica d’oltralpe, contestava a Dreyfus la redazione di una lettera, comprovante rapporti di collaborazione fra l’ufficiale e la Germania nemica. L’accusa, che lo Stato Maggiore rivolgeva a Dreyfus, sembrò da subito un maldestro tentativo dell’esercito di sbarazzarsi dell’uomo, a causa delle sue origini semite. Le prove addotte nel processo erano puramente indiziarie, ma ciò non risparmiò a Dreyfus un lungo soggiorno in prigione, da cui ne uscì fortemente provato. Solo dopo vent’anni, infatti, la Cassazione francese riconobbe l’innocenza dell’ufficiale, riabilitandolo completamente. La strada, tuttavia, era aperta e il montante antisemitismo trovò presto degli argomenti ancora più convincenti per diffondere il proprio veleno. In Germania, ad esempio, una solida base culturale a tali tesi venne dalla crescente fascinazione dei tedeschi per l’esoterismo. Non era raro, nella Germania del primo dopoguerra, che accanto alla religione ufficiale convivessero riti popolari( volkisch) che si richiamavano al paganesimo della mitologia nordica. La riscoperta di questi culti fu inevitabilmente favorita dalla delusione dei tedeschi per la sconfitta nella Grande Guerra. Ciò fece la fortuna di maghi e cartomanti, che si prestavano a preconizzare l’avvento di un’era straordinaria per la Germania, sotto le insegne di un nuovo Reich. Un Impero che, sulla scia di un grande Fuhrer( condottiero), avrebbe finalmente restituito ai tedeschi l’orgoglio perduto, ovvero quello di essere la razza superiore per eccellenza. La Razza ariana, figlia di Odino, che nella Germania barbarica, all’ombra del Sole Nero, dominava su tutte le altre culture, sottomettendole e annientandole. Fu sufficiente questo per legittimare l’ideologia nazista agli occhi di un popolo insofferente e prostrato. Il resto lo hanno fatto gli eventi. Al malcontento della popolazione, seguì presto l’indignazione verso la debole risposta della Repubblica di Weimar alla recessione economica. Una recessione scaturita dai pesanti debiti di guerra, dovuti a titolo di sanzione dalla Germania alle nazioni vincitrici. In questo clima, i nazisti fomentarono l’odio verso gli ebrei, rei di aver venduto il Paese alle potenze capitalistiche e borghesi. Dopo l’ascesa al potere di Adolf Hitler, nelle scuole si iniziò ad insegnare ai bambini che il Fuhrer, come Gesù sulla Croce, avrebbe salvato il mondo dal cancro giudaico, cancellandoli dalla faccia della Terra. Lentamente, tutta la Germania sprofondò nell’abisso di tale follia ideologica, il cui fanatismo pervase tutti gli ambiti della società. Dalla cultura allo sport, dal diritto alla scienza, ogni cosa divenne il riflesso del delirio di un solo uomo. Un uomo, che pur acclamato dalle folle, è diventato il simbolo stesso del Male Assoluto. Egli, nato in una famiglia della media borghesia austriaca, ha visto nello sterminio degli ebrei un modo per liberarsi dei propri incubi interiori. E nel farlo non ha esitato a legare al suo destino tutto il suo popolo, trascinandolo nel baratro della guerra. Più di lui, comunque, resta colpevole l’ignavia di chi ha implicitamente accettato “la soluzione finale” praticata nei lager. Eccezion fatta per Oscar Schindler e pochi altri, nessun tedesco si è opposto a tale abominio e non vi è stata, a differenza dell’Italia e della Francia, una resistenza vera all’avanzata del Nazismo. Come riportato da Enzo Biagi, in un suo famoso reportage del 1947, i tedeschi dell’epoca, per loro stessa ammissione, erano tutti convinti del necessario genocidio degli ebrei. Tale indifferenza, oltre a farci inorridire, dovrebbe indurci a più di una riflessione. Quanto tale atteggiamento non è oggi presente, seppur in forme diverse, nella nostra società? A tal riguardo, per ciò che concerne il nostro Paese, ci vengono in soccorso i dati offerti dalla polizia postale. Secondo gli esperti, negli ultimi tre anni i crimini d’odio in Italia sono drasticamente aumentati. Strumento privilegiato, per diffondere messaggi antisemiti, resta la rete, che, grazie alla crescente espansione dei social, riesce a coinvolgere sempre più persone. Il proliferare, infine, di teorie complottiste sul Coronavirus e sui vaccini fornisce il supporto indispensabile per plagiare le menti più facilmente suggestionabili. Non è infrequente, infatti, che dal negare l’esistenza del Covid si arrivi a negare la veridicità dell’Olocausto. Questo ci riporta al monito di Primo Levi a non dimenticare, pena il ritorno ai tempi bui che furono. Al male, infatti, per replicarsi, è sufficiente l’altrui tolleranza per infettare tutta la società. Del resto, il volgere del tempo è capace di addormentare anche gli animi più brillanti. Da qui la necessità di preservare la memoria e di esercitarla sempre nel rispetto dell’altrui opinione. Una capacità che stiamo perdendo, anche a causa del venir meno degli ultimi testimoni di quell’orrore sconvolgente, che non smette di seminare odio e pregiudizi fra i popoli ancora adesso.                                                                                                               di Gianmarco Pucci 

L’anno del Biscione

Quando la mattina del 17 Febbraio 1992 i carabinieri arrestarono Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio ed esponente del PSI milanese, in molti pensarono a nient’altro che a uno sporadico caso di corruzione e malcostume pubblico. Invece, quella scoperta si propagò a macchia d’olio in tutta Italia, provocando il repentino e inaspettato collasso della classe dirigente che aveva governato fino ad allora il paese. Nacque così, favorita anche dalle stragi di Mafia in Sicilia, Mani Pulite, il più grande scandalo politico della moderna storia nazionale. Uno scandalo ben superiore a quello che un secolo prima( nel 1892) scosse l’Italia liberale, i cui interessi nel fallimento della Banca Romana portarono alle dimissioni del primo governo Giolitti. In tal senso Tangentopoli, come fu ribattezzata dalla stampa del tempo, fu più che un’opera di moralizzazione pubblica condotta da un manipolo di rampanti magistrati contro una elite laida e corrotta. Essa è stata soprattutto uno spartiacque fra un’epoca storica e un’altra. Una stagione che iniziò esattamente ventotto anni fa, allorché per la prima volta dopo mezzo secolo i partiti storici della Repubblica( DC, PSI, PRI, PLI, PSDI) non si presentarono alle elezioni previste per la primavera del 1994. Gli arresti e le inchieste dei due anni precedenti, infatti, avevano alimentato una forte sfiducia verso i principali esponenti del Pentapartito. Sfiducia che assunse, per alcuni di loro, la veste della gogna mediatica, costringendoli ad allontanarsi dalla vita pubblica. Ciò portò alla ribalta nuovi personaggi politici, alcuni nuovi altri un po’ meno. La principale novità di quell’anno fu, tuttavia, la discesa in campo di Silvio Berlusconi, magnate milanese delle telecomunicazioni e fondatore di Fininvest. Berlusconi annunciò il suo ingresso in politica con un memorabile discorso a reti unificate. Nel suo messaggio agli italiani, il Cavaliere indicò come suo precipuo interesse quello di scongiurare una vittoria delle sinistre alle imminenti elezioni. Forze politiche che, a suo dire, non sarebbero state in grado di condurre l’Italia verso quella rivoluzione liberale che molti cittadini aspettavano da tempo. Fu così che, forte anche della mirabolante promessa di un milione di nuovi posti di lavoro, Berlusconi, dopo appena due mesi da quel messaggio televisivo, riuscì a vincere la sua scommessa elettorale. Egli, sfruttando le divisioni e le contraddizioni dello schieramento avverso, seppe da abile comunicatore costruire intorno a sé un ampio consenso, accattivandosi le simpatie di quei tanti italiani rimasti orfani del Pentapartito. E lo fece sfoderando una formula politica inedita, che in pochi mesi riuscì a mettere insieme esperienze e storie diverse, se non addirittura opposte. Inoltre, riuscì nell’impresa di svecchiare le liturgie tipiche della politica, depurandola dai rigurgiti ideologici tipici della Guerra Fredda. Peraltro, donandogli anche una certa leggerezza. Con lui, si dirà in seguito, nacque la politica spettacolo,  ovvero quella dei nani e delle ballerine civilmente impegnati. Una corte che è stata ben rappresentata in questi quasi trent’anni da Forza Italia, il partito-azienda che da Berlusconi è stato creato e che a lui risponde in tutto e per tutto. Invero, proprio questa attitudine verso la frivolezza, unitamente alla disinvoltura del personaggio, hanno attirato al Cavaliere in questi decenni critiche feroci e lo hanno reso certamente un personaggio controverso. Soprattutto per le vicende giudiziarie che lo hanno riguardato direttamente e che hanno scavato un solco profondo fra esso e una parte dell’opinione pubblica. Infatti, fu in seguito a un’inchiesta che cadde il primo governo Berlusconi. E fu sempre allora che si ruppe l’idillio con il paese, riproponendosi lo stesso scenario che già si era concretizzato con Mani Pulite. Eppure, malgrado ciò, resta il fatto che con lui è nata la Seconda Repubblica. Un periodo unico ed irripetibile e di cui, nel bene o nel male, egli è stato certamente il protagonista indiscusso.                                                                                                                                                                                   articolo di Gianmarco Pucci 

lo strano caso della Bestia del Gévaudan

Venerdì sera, su Iris, è andato in onda il Patto dei Lupi, film francese del 2001 di Christophe Gans con Vincent Cassel, Mark Dacascos, Samuel Le Bihan e Monica Bellucci. La pellicola, di fattura alquanto sciatta quanto a sceneggiatura e interpretazione degli attori, ha avuto, tuttavia, il merito di narrare, pur mantenendola sullo sfondo, la vicenda  realmente accaduta della Bestia del Gévaudan. La storia si colloca fra il 1764 e il 1767, nei boschi della regione della Francia centro-meridionale del Gévaudan, oggi incorporata nel dipartimento di Lozere, in Occitania. Le cronache locali del periodo riportano dei ripetuti attacchi, perlopiù rivolti verso le comunità di pastori che abitavano la zona, da parte di un animale particolarmente possente e feroce, simile nell’aspetto a un lupo. La Bestia fece la sua prima apparizione nel Aprile del 1764, ma la prima vittima, una pastorella di 14 anni, è di due mesi dopo, il 30 Giugno, e da allora i morti non hanno fatto che aumentare, rendendo gli attacchi dell’animale un’autentica piaga per gli agricoltori del luogo. A causa degli scarsi risultati da parte delle autorità locali nello scovare e uccidere la bestia, l’intendente della Linguadoca, l’avvocato di Mende M. Lafont, decide di informare Parigi, che invia il 12 novembre un distaccamento di 56 Dragoni comandati dal capitano Jean Boulanger Duhamel. Egli, nel suo resoconto al Re, descrive uno strano e sconosciuto ibrido, esteriormente simile a un lupo, ma della stazza di un vitello, talmente astuto da schivare costantemente le trappole dei cacciatori. Con il passare dei mesi, gli infruttuosi tentativi di cattura della belva e il costante aumento delle vittime contribuiscono a far nascere nella popolazione, complice il folklore popolare e la superstizione, il “Mito della Bestia”. In tutta la Francia non si parla d’altro. L’ opinione pubblica inizia a farsi domande sulla reale natura dell’animale e al riguardo iniziano a fiorire le più bizzarre teorie. L’avvento della fiera, infatti, risuona fra la popolazione come un duro monito divino rivolto al Sovrano per la sua indulgenza verso i filosofi illuministi. Costoro, professando il primato della ragione sulla fede, vengono sempre più visti come degli eretici dalla Chiesa, capaci di insinuare il dubbio riguardo l’autenticità del messaggio di Cristo ( tesi questa che viene riproposta anche nel film). A onor del vero, è storicamente accertato che Parigi, e in generale tutta la Francia, fosse in quel periodo assiduamente frequentata da agenti dell’Inquisizione, che riferivano a Roma di  tutti gli sviluppi implicanti il diffondersi del Culto dei Lumi. La vicenda, inoltre, a causa della crescente isteria collettiva, finì per suscitare interesse anche fuori della Francia. Sono in particolare i giornali inglesi a dare risalto alla notizia, nell’intento di schernire Luigi XV e il suo esercito. Per i britannici, i sudditi di Francia sono degli inetti, perché non sono capaci di fare la guerra così come non sanno abbattere un grosso lupo antropofago. Pertanto, Il Mito della Bestia invincibile, figlia del demonio e flagello divino, si rafforza ulteriormente e a scapito delle povere vittime. Per porre fine al terrore si assiste nelle campagne della provincia a una vera e propria mattanza di lupi da parte di semplici contadini, soldati e cacciatori dilettanti. Costoro, per riscuotere la ricompensa messa dal Sovrano, non esitano ad affermare di avere ucciso la temibile fiera, per poi venire smentiti puntualmente al verificarsi di ogni nuovo assalto. Prossimi ormai alla soglia delle 100 vittime, con l’animale che sembra avvicinarsi sempre di più ai centri abitati, Re Luigi XV decise di inviare nella provincia del Gévaudan il suo archibugiere personale, Antoine De Beauterme. Beauterme si reca sul posto con i suoi due figli e alcuni aiutanti. Anche il suo tentativo si rivela, però, un fiasco: egli riferì, il 18 novembre del 1765, di aver ucciso la Bestia, un lupo di oltre 100 kg dal folto pelo nero, immediatamente impagliato e portato a Parigi, nel plauso generale di una popolazione finalmente liberata dal flagello. Non fu, purtroppo, così in quanto la Bestia tornò a colpire un paio di settimane dopo. Un anno e mezzo dopo, un contadino di nome Jean Chastel, assistito dai suoi tre figli, uccide durante una battuta di caccia un grosso lupo e lo porta a Parigi per ottenere la ricompensa promessa. Non avendolo impagliato, la carcassa giunge già in avanzato stato di decomposizione, per cui è impossibile stabilire se l’animale ucciso dall’agricoltore è veramente la belva che ha terrorizzato le contrade francesi. Sta comunque di fatto che da allora, come per incanto, gli assalti cessarono del tutto. Restano però degli interrogativi su tutta la vicenda, soprattutto riguardo alla vera natura della Bestia. Era veramente solo un lupo ad agire o era presente negli omicidi, in qualche modo, la mano dell’uomo? le vittime erano il bersaglio privilegiato di una bestia sanguinaria o della furia assassina di una mente malata? alcuni studiosi, infatti, hanno ipotizzato che invece di un animale a colpire fosse un uomo ( un maniaco omicida sul tipo di Jack lo Squartatore o di Peter Stubbe, il cannibale di Bedburg), in virtù della particolare tipologia delle vittime, prevalentemente donne e bambini e quasi mai uomini adulti. Altri, ancora, hanno parlato di attacchi combinati di un branco di lupi e che solo l’isterismo collettivo ha trasformato in un unico e spietato carnivoro. Ciò trova conferma proprio analizzando le caratteristiche delle ferite e sulla quale concordano la maggior parte degli zoologi. Si è, infine, discusso di un lupo particolarmente grosso e vorace, in quanto affetto da Acromegalia ( malattia comune in uomini e animali e che provoca la crescita sproporzionata degli arti). Una tesi, quest’ultima, meno suggestiva rispetto a quella di coloro che dietro i fatti del Gévaudan ci vedono l’ombra di un complotto antilluminista, ma certamente più verosimile. In definitiva, quale che sia la verità riguardo allo strano caso della Bestia del Gévaudan, la vicenda dell’enigmatico criptide non potrà che continuare a stimolare le speculazioni degli scienziati e le fantasie dei registi, lasciandoci consapevoli su quanto molto crediamo di sapere, ma quanto poco in realtà sappiamo sulla natura e su i suoi più reconditi segreti.

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