Perché no?

Il prossimo 20 e 21 Settembre gli Italiani saranno chiamati alle urne per il rinnovo dei Consigli Regionali in sette regioni e per confermare , tramite apposito referendum , la legge di riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari. Quest’ultima , licenziata dalle Camere lo scorso Ottobre , se approvata comporterebbe una significativa riduzione della rappresentanza parlamentare. Si passerebbe , infatti , da 630  a 400 deputati per la Camera e da 315 a 200 membri per il Senato per un totale di 600 parlamentari, dunque 345 in meno rispetto agli attuali 945. In verità la riforma , al di là di ogni facile demagogia , non può che suscitare perplessità e obiezioni in virtù della portata riduzionistica che la connota. Si è detto che la legge in questione permetterebbe , dopo un attesa pluridecennale , di snellire l’iter di formazione e approvazione delle leggi, garantendo oltretutto un significativo risparmio di spesa. Ciò è facilmente confutabile per due motivi: in primo luogo, perché  le casse dello stato ricaverebbero dal taglio solo 57 milioni di euro( pari allo 0,007% del spesa pubblica annuale e complessiva dello stato) e non 100 milioni come ha sostenuto candidamente Luigi Di Maio, principale sponsor insieme al M5S della riforma; in secondo luogo ,  è chiaro come il sole che se non si interviene in maniera decisa sugli stipendi e sulle indennità dei parlamentari Italiani( che sono fra le più alte di Europa) non ci potrà essere alcun serio risparmio per i conti pubblici. Verrebbe pertanto da chiedersi perché chi si è reso fautore di una simile riforma non abbia seguito questa strada per colpire i privilegi dei politici e si sia invece  prodigato in favore di un argomento così velleitario e smaccatamente populista. A tale domanda non c è ancora risposta se non il rinvio del tema a giorni migliori. Tuttavia, è sotto il profilo sostanziale della rappresentanza che l’impianto della legge rischia di creare le più vistose distorsioni. Innanzitutto si rischia di alterare,  in modo pressoché irrimediabile , il rapporto fra eletto ed elettore con  territori meno rappresentati rispetto ad altri. Paradigmatici a tal proposito sono ad esempio il caso della provincia di Savona che non elegerebbe nemmeno un senatore  oppure l’Abruzzo che sempre al Senato vedrebbe ridotta la propria rappresentanza a solo 4 membri, come anche il Friuli, l’ Umbria e la Basilicata. Il Trentino, invece,  in virtù del proprio statuto speciale ne elegerebbe 6, non registrando un grande cambiamento sotto questo profilo a dispetto di chi sostiene la sensatezza della riforma. Infine, gli squilibri di rappresentanza si ripercuoterebbero anche sulla composizione dei gruppi e delle commissioni parlamentari, che non  sarebbero a ben vedere in grado di lavorare efficacemente e speditamente specie in sede redigente. Su questo punto ,però ,Di Maio ha assicurato che la riforma sarà integrata dalla modifica dei regolamenti parlamentari e, non da ultimo, dalla riforma della legge elettorale. Il tema, che verrà affrontato nelle prossime settimane, è quanto mai decisivo. Lo è, perché senza un adeguata legge elettorale, che consenta ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento, questa riforma rischia di danneggiare l’assetto istituzionale del paese più di quanto possa sembrare all’apparenza. Se fra 10 anni si dovesse votare,ad esempio, una legge che abolisce il Senato (come avvenne nel 2016) per trasformarlo nella Camera delle Regioni, con conseguente ulteriore depauperamento dei poteri del Parlamento , chi potrebbe negare che questa riforma non è stato che il primo passo per smantellare la democrazia parlamentare nel nostro paese? Cosa ne resterebbe della Costituzione più bella del mondo? Siamo, dunque, davanti a un bivio: o diventiamo una nazione più forte e coesa o siamo destinati all’oblio, a tornare un espressione geografica o, peggio ancora, una colonia. Chissà se non è proprio questo l’intento di chi ha veramente scritto la riforma ovvero tagliare il parlamento e rafforzare la “casta” , che in caso di vittoria del si non potrebbe esimersi dal ringraziare e benedire chi beceramente ha votato per il suo mantenimento.

Sognando Chernobyl

Credevamo che la storia fosse finita con il trionfo statunitense al termine della Guerra Fredda, ma evidentemente ci sbagliavamo. Il conflitto ucraino, reo di aver svelato al mondo la ferocia e la tracotanza del regime di Mosca, ci ha riportato ai tempi del confronto più aspro fra potenze bipolari. Una tensione che si evidenzia oltremodo attraverso il sempre più frequente riferimento retorico al possibile impiego di armi nucleari nel contesto attuale. Solo poche settimane fa, infatti, Lavrov ha rimarcato che se la sopravvivenza della Russia sarà in pericolo una tale opzione non sarebbe da Mosca esclusa a priori. Un monito che segue la decisione di Vladimir Putin di trasferire, in seguito all’adesione della Finlandia alla Nato, testate atomiche tattiche in Bielorussia, in prossimità del confine con la Polonia. Essa rischierebbe, in quanto presidio orientale europeo di diventare la nuova Hiroshima, qualora un simile scenario dovesse avverarsi. Ma esattamente cosa è accaduto settantotto anni fa, allorché il mondo ha sperimentato la letalità di questa iniqua scoperta scientifica? Erano da poco passate le otto, quando la prima bomba atomica, chiamata in codice “Little Boy”, fu sganciata sulla città giapponese di Hiroshima, nella prefettura di Osaka. La bomba esplose a 580 metri da terra causando da subito fra le settantamila e le novantamila vittime. Solo tre giorni dopo, sulla vicina Nagasaky, esplose “Fat Man”, la seconda bomba nucleare costruita dagli Usa per piegare la resistenza nipponica. La bomba, a differenza di quella sganciata su Hiroshima, si componeva di un cuore di Plutonio 239, era lunga 3,25 metri, larga 1,5 e pesava 4 tonnellate e mezzo. Un autentico mostro di fuoco, dunque, che sfruttando l’energia sprigionata dalla fissione dei nuclei di Plutonio distrusse la vita in una manciata di minuti. La bomba funzionava secondo un meccanismo sensibilmente più sofisticato di quello di Hiroshima ma ugualmente distruttivo. Il successivo 13 Agosto, a cospetto di tale disastro, il governo giapponese si arrendeva agli Usa: finiva la Seconda guerra mondiale e iniziava l’Era Atomica. Nel sangue e nel terrore era stato generato un killer, figlio della fisica e della chimica, il quale minacciava la futura sopravvivenza del genere umano. La sua nascita ebbe una storia assai travagliata e non meno interessante: tutto ebbe inizio nel 1938, allorché il chimico tedesco Otto Hahn osservò la scissione dell’atomo a seguito di un bombardamento dei nuclei con neutroni. Gli studi di Hahn riprendevano quelli di Enrico Fermi, che già quattro anni prima aveva notato che la scissione dell’atomo provocava una reazione nucleare a catena. Nel 1942, un gruppo di scienziati emigrati dall’Europa (fra cui lo stesso Fermi) si preoccupò di tradurre in pratica il risultato di questi esperimenti per favorirne un impiego militare. Nacque il Progetto Manhattan, finanziato interamente dal governo americano con l’obiettivo di arrivare ad avere l’arma nucleare prima che tale risultato venisse raggiunto dalla Germania nazista. Il 16 Luglio 1945, sotto la supervisione del dottor Oppenheimer, capo del Progetto Manhattan, avveniva il primo test atomico nel deserto di Alamogordo, in Nuovo Messico( test Trinity). Tuttavia, la bomba che fu impiegata non contro la Germania ma verso il Giappone per via degli effetti devastanti prodotti fù oggetto di pesanti critiche e ripensamenti. Già nel 1945, infatti, nacquero gruppi e comitati che chiedevano espressamente alle potenze mondiali uscite vittoriose dal conflitto ( principalmente Usa e Urss) di adoperarsi per limitare gli arsenali nucleari. Appello questo rimasto inizialmente inascoltato per via delle vicende connesse alla guerra fredda che portarono, invece, a un incremento massiccio delle armi atomiche. Tuttavia, nonostante la fine della Guerra Fredda, il dibattito continua ad essere vivo in tutte le nazioni del mondo relativamente all’opportunità di usufruire dell’energia nucleare e delle tecnologie da essa derivatene. L’ Italia, in particolare, ha deciso di uscire dal programma nucleare mondiale a seguito dell’esito del referendum del 1987 ( svoltosi successivamente all’incidente di Chernobyl), decisione confermata poi dal referendum del 2011. Le motivazioni addotte da quanti si dichiarano contrari all’impiego dell’energia nucleare sono molteplici e meritevoli di nota: in primo luogo il territorio Italiano, essendo ad elevato rischio sismico non consente di produrre in sicurezza; in secondo luogo la difficoltà di smaltire le scorie aggraverebbe un settore come quello del riciclaggio dei rifiuti già in condizione critica per lo smaltimento di quelli solidi e urbani; infine, l’alto costo per la manutenzione degli impianti e la possibilità che questi e i suoi derivati possano essere cedute a potenze o industrie straniere, favorendone quindi la proliferazione, rendono decisamente poco vantaggioso un ritorno del nostro Paese al nucleare. Credo, in conclusione, che dobbiamo tutti quanti riflettere con serietà e coscienza riguardo al futuro nostro e del pianeta che abitiamo, proprio alla luce di quello che è avvenuto nell’ultimo secolo. Come disse Primo Levi ciò che è accaduto può accadere ancora e se il male è suscettibile di tornare, pur in forme diverse, allora preoccupiamoci tutti di rendere migliore il mondo che abitiamo, evitando di inseguire le chimere di chi ancora sogna Chernobyl. Ricordiamoci che la vita è il bene più prezioso che abbiamo e che solo un mondo di pace può evitarci di scomparire in un gigantesco fuoco d’artificio causato dalla follia e dalla cupidigia umana.

Ritratto d’Agosto

Come ogni anno ad Agosto, complice la pausa estiva, la politica rispolvera i propri “cavalli di battaglia” in vista del ritorno a Settembre, che mai come quest’anno sembra denso di incognite. Incertezze che fanno riaffiorare le tradizionali divisioni fra i partiti e moltiplicare gli interrogativi riguardo alle prospettive dell’ immediato futuro. la crisi sanitaria , infatti, lungi dall’essersi risolta, rischia di avere un impatto deflagrante sulla tenuta del paese se non affrontata con la giusta determinazione, qualità quest’ultima che sembra mancare all’attuale classe dirigente. Il premier Conte, proprio in questi giorni, ha annunciato il varo del decreto Agosto con l’obiettivo di ricompattare una maggioranza che pare sfilacciarsi a causa delle solite diatribe interne al centro-sinistra. In particolare, a divenire terreno di scontro negli ultimi giorni è stata la richiesta di approvare una nuova legge elettorale subito dopo l’estate: da un lato c’è  chi vorrebbe una legge elettorale di tipo proporzionale come  il Partito Democratico e il M5S e dall’altro chi si dimostra più propenso a un sistema maggioritario come l’ex premier Matteo Renzi. In verità , la questione , per quanto importante possa sembrare, è più simile a un pretesto per indurre qualcheduno a scoprire le proprie carte ,approfittando dell’ affievolimento del dibattito tipico del periodo feriale. Questo qualcuno sembra essere proprio Matteo Renzi, che dalla nicchia di ambiguità ritagliatasi all’interno dell’emiciclo cerca di riacquisire quel peso specifico perso per via delle sue non infrequenti giravolte. Da qui il sospetto che si stia lavorando a un nuovo governo ,allargato a Forza Italia , guidato probabilmente da Mario Draghi ( e non più da Giuseppe Conte) e con l’apporto di quei grillini “responsabili”, i quali non hanno alcun interesse a tornare alle elezioni nella certezza di perdere il seggio. Ipotesi questa meno peregrina di quanto possa apparire a una prima impressione : prova ne è che anche qualcuno nel Movimento di Beppe Grillo inizia a sentire puzza di bruciato. Basta ,difatti, scorrere le dichiarazioni rilasciate in questi giorni da alcuni parlamentari del Movimento per rendersi conto che al suo interno si sta creando una netta demarcazione fra quanti si attestano su una linea più ” movimentista”, vicina alle posizioni di Alessandro Di Battista e chi mantiene un afflato “governista” come Luigi Di Maio e l’area che a lui fa riferimento. Per capire, dunque, se vi sarà ribaltone a Settembre bisognerà attendere gli esiti delle votazioni regionali e del referendum sul taglio dei parlamentari, fortemente voluto dal M5S e che permetterà di inquadrare in modo più chiaro il futuro della legislatura. I sondaggi pubblicati a riguardo registrano un vantaggio dell’opposizione di centro-destra, ricompattatasi dopo le frizioni fra Salvini e Berlusconi delle scorse settimane innanzi alla necessità di intervenire sull’l’immigrazione clandestina e la riforma della giustizia. Quest’ultima , ritenuta ormai riforma improcrastinabile dalla coalizione a seguito dello scandalo Palamara e dell’autorizzazione  a procedere ,concessa Giovedì scorso dal Senato con il beneplacito di tutta la maggioranza , contro Matteo Salvini per il caso della nave “Open Arms”. Per completare il quadro non ci resta che citare l’ex ministro Calenda, che nel suo beato oziare fra questo e quel salotto televisivo non ha perso l’occasione per andare sulla spaggia di Melendugno, in Puglia, per dimostrare che il TAP ,tanto inviso ai grillini, è in realtà un infrastruttura utile al paese, che non reca a suo dire alcun danno al paesaggio e all’ambiente. La politica si è pertanto ripresa la scena dopo mesi di abdicazione coatta in favore di virologi e scienziati. Ciò non può che rallegrarci se non fosse per il fatto che, dopo mesi di crescita stabile, il Coronavirus torna a mietere vittime, contribuendo all’ opera di abbattimento di un popolo disilluso come quello italiano. Tuttavia, è  da segnalare al riguardo che il ministro Speranza, nella sua informativa dell’altro ieri alla Camera ,ha tenuto a precisare come la crescita dei contagi sia lieve e la situazione sotto controllo. Sarà vero? Lo scopriremo solo vivendo.                

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