Erdogan, il Sultano

Ancora una volta la Francia si ritrova dover fare i conti in casa propria con un fondamentalismo islamico che sembra non darle tregua. Nella giornata di ieri, infatti, in coincidenza con il primo giorno di Lockdown, si è verificato l’ennesimo , sanguinoso attentato che ha visto per teatro la città di Nizza. L’attacco terroristico segue di poche settimane quello avvenuto alle porte di Parigi in cui a venire giustiziato è stato un professore di scuola superiore, colpevole di aver distribuito ai suoi studenti copie di un giornale contenente immagini satiriche del profeta Maometto. Il giornale in questione è stato ,inoltre, proprio in questi giorni preso duramente di mira da parte di molte nazioni musulmane, cha a quanto pare non sembrano gradire l’ironia francese sulle tematiche riguardanti il loro credo religioso. Uno di questi paesi è la Turchia, che a causa di queste vignette satiriche sembra pronta a dare inizio a una crisi politica e diplomatica con la Francia  dagli esiti imprevedibili. Secondo il presidente turco Erdogan, Macron e i politici europei, consentendo pubblicazioni immorali,  starebbero alimentando una spirale di odio verso l’islam prodromica a una nuova crociata. Un livore che ,sempre per Erdogan, sta divorando come un cancro il Vecchio Continente e che sarebbe il vero responsabile degli attacchi che hanno sconvolto la Francia nelle ultime ore. Il presidente turco ha poi preso le distanze dagli attentati, ribadendo che il suo paese non incoraggia la violenza e non ostacola il culto di nessuno. Tuttavia, se si guarda alle azioni intraprese da Ankara nell’ultimo periodo sorge più di un sospetto riguardo alla genuinità di queste dichiarazioni. Ad esempio, perché il 10 Luglio di quest’anno un suo decreto ha ordinato la riconversione della Basilica di Santa Sofia a Istanbul da museo cristiano a moschea, suscitando peraltro il disappunto anche del Vaticano? non è un caso, infatti, che proprio quella Basilica sia stata per secoli luogo di contesa fra cristiani e musulmani fino alla laicizzazione del sito per mano di Ataturk nel 1935. Sempre con riguardo alle legittime aspirazioni della Turchia non ci si può non accorgere che il regime di Ankara ha avviato, ormai da qualche anno, una macroscopica opera di espansione nel Mediterraneo che rischia di risvegliare dopo millenni un conflitto mai completamente sopito fra opposte civiltà. Lo si è visto in Libia, dove la Turchia è divenuta il vero arbitro del conflitto che contrappone il governo di Tripoli e l’esercito del generale Haftar stanziato a Tobrouk. Lo si vede nell’Egeo, sempre più minacciato da una guerra latente fra la Turchia e la Grecia ( che proprio per frenare le ambizioni di Ankara ha richiesto l’intervento conciliativo dell’Unione Europea). Nell’analizzare, pertanto, le mosse della Turchia di Erdogan sembra pressoché scontato affermare che esso stia tentando di ricostruire l’Impero Ottomano, favorendo la riunificazione di tutte le nazioni musulmane sotto un unico Sultanato. Un ruolo al quale la Turchia può senz’altro ambire, essendosi indebolito nel corso degli anni, anche per il venir meno dei suoi leader più carismatici, il potere dei gruppi jihadisti in Africa e in  Medio Oriente. Un progetto ambizioso, dunque, quello coltivato da Erdogan che non può lasciare noi Europei indifferenti. L’avanzata turca deve in tutti i modi essere arginata per evitare che  quelle che oggi possono sembrare semplici dispute territoriali possano  innescare una polveriera capace di frantumare i nostri diritti e  le nostre sicurezze. Certezze che vacillerebbero indubitabilmente se si saldasse un inquietante asse del male  fra Turchia, Russia e Cina, avente come obiettivo ultimo il controllo e la sottomissione egemonica dell’Europa. Ecco perché per scongiurare una simile iattura occorre da un lato preservare la nostra identità , ma dall’altro lato occorre approntare una nuova strategia che rilanci il ruolo internazionale del Continente. Solo così si potrà efficacemente rispondere alla sfida che il Sultano di Ankara ci ha lanciato.                                                                                                                                                           Articolo di Gianmarco Pucci 

Il fantasma del Natale prossimo

Dopo essere stato definito un fantoccio e un corrotto, ora Joe Biden è diventato il “Grinch”, lo spettro nemico del Natale a stelle e strisce. Questa è l’ultima accusa rivolta da Donald Trump all’avversario democratico, incapace secondo lui di gestire l’emergenza pandemica nel paese meglio di se stesso e della sua amministrazione. Secondo Trump, infatti, Biden “l’assonnato” è un inetto sotto tutti i punti di vista, un uomo di carta della sinistra radicale che vuole distruggere il “Sogno Americano”. Fin qui nulla di nuovo, essendo Trump famoso per i suoi modi diretti e spregiudicati non sorprende che pur di vincere il prossimo 3 di Novembre ricorra a tutti gli espedienti possibili per denigrare chi non lo compiace. Uno stile polemico e sopra le righe che, tuttavia, denota un certo nervosismo, forse dovuto ai sondaggi che lo danno perdente rispetto a Biden. Nervosismo affiorato in questi giorni anche sui social e nei rapporti con la stampa, ritenuti dal presidente faziosi e bugiardi, con una spiccata attitudine a diffondere “fake news”. L’ultima a farne le spese è stata Kristen  Welker, giornalista del Nbc che modererà il secondo e ultimo dibattito elettorale   fra Trump e Biden  nella giornata di domani e ritenuta dal Tycoon straordinariamente di parte. Trump ha poi criticato in questi giorni il provvedimento annunciato dalla Commissione per i dibattiti presidenziali, che prevede di silenziare il microfono del candidato che interrompe l’altro contendente, al fine cioè di evitare il ripetersi di quanto avvenuto la scorsa volta su Fox tv. Biden, invece, forte della crescita dei consensi, parlerà oggi a Philadelphia, in Pennsylvania, uno degli stati in bilico che potrebbero fare la differenza in questa tornata elettorale così imprevedibile. Atteso, per ricompattare una base democratica smarrita e demoralizzata , L’intervento di Barack Obama allo scopo di incentivare gli elettori a recarsi alle urne per votare il suo ex vicepresidente. Non è un mistero, infatti, che Biden sia visto con sospetto da una buona parte dell’elettorato liberal per via del suo passato e dei legami suoi (e della sua famiglia) con importanti lobby di Washington, motivo per cui il discorso di Obama è visto come indispensabile dallo staff del candidato democratico per rinvigorire la corsa alla presidenza. Proprio questi legami sono stati ripetutamente  denunciati in questi mesi da Trump e dai suoi collaboratori, per rimarcare le differenze fra il Tycoon e il senatore del Delaware. Ma se il tallone di Achille di Joe Biden sembrano essere i trascorsi della sua ultra quarantennale carriera politica, quello di Trump sembrano essere i guai con il fisco. Oggi, infatti, il New York Times ha rivelato che il presidente avrebbe un conto bancario in Cina, dove egli avrebbe pagato, fra il 2013 e 2015, quasi duecento mila dollari di tasse. Una sinistra ombra, dunque, lanciata sul chiacchierato miliardario ,divenuto l’uomo più potente del mondo, a meno di due settimane dalle elezioni. A infastidire ulteriormente il presidente Usa ci avrebbe, inoltre, pensato inaspettatamente la Corte Suprema, la quale ha ammesso la validità del voto per posta, duramente sospettata da Trump di coprire i brogli elettorali dei democratici. Più che una campagna per la presidenza sembra ormai di assistere a uno psicodramma, a una  telenovela stile Dallas o Dinasty. Uno show che, tuttavia, assume connotati ideologici e che rischia di far tremare paurosamente un sistema già pesantemente messo alle corde. Pertanto, in attesa del verdetto elettorale, mai così incerto come questa volta, non ci resta che sederci a guardare questo stuzzicante spettacolo, sempre che dalla telenovela non si passi al melodramma.                                                                                                                                                                  Articolo di Gianmarco Pucci

Due mondi molto vicini

Venerdì 16 Ottobre, la FAO, organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha festeggiato, nella sua sede di Roma, 75 anni di attività. La cerimonia, coincisa quest’anno  con la giornata mondiale dell’alimentazione, si è svolta in videoconferenza  a causa dell’emergenza Covid e ha visto la partecipazione di personalità di spicco delle istituzioni e del mondo dell’associazionismo. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per l’occasione ha inviato un videomessaggio in cui ha ricordato come quello che stiamo vivendo è un momento di scelte decisive per l’intero pianeta, laddove senza un serio impegno globale basato sul rispetto dell’attività agricola e l’uso responsabile delle risorse naturali non sarà possibile assicurare un sistema alimentare sostenibile nel prossimo futuro. Il capo dello Stato ha poi puntualizzato che senza un rafforzamento della cooperazione fra le nazioni, che coinvolga attori sia pubblici che privati, non si potrà efficacemente contrastare i problemi globali connessi allo sviluppo agricolo. Di qui l’auspicio di Mattarella affinché la Comunità Internazionale riscopra il senso profondo dei beni preziosi che la terra ci offre al fine di condividerli e custodirli per le future generazioni. L’appello del Presidente della Repubblica ha fatto da contraltare al duro monito del Papa, il quale ha denunciato come la distribuzione diseguale  dei frutti della terra sia non solo una tragedia, ma una vera vergogna. Secondo il Santo Padre essa sarebbe dovuta ai pochi investimenti effettuati nell’agricoltura, alle conseguenze dei cambiamenti climatici e ai conflitti presenti in molte aree del globo che bruciano ogni anno tonnellate di generi alimentari. Proprio questi ultimi due fattori, secondo gli ultimi rapporti diffusi dalle agenzie ONU, sarebbero fra le principali cause dell’aumento della fame nel mondo nell’ultimo triennio ( 821 milioni di persone ovvero un abitante su nove dell’intero pianeta). Le oscillazioni climatiche stanno, infatti, influenzando l’andamento delle piogge e delle stagioni agricole, dando anche luogo a fenomeni meteorologici estremi come siccità e alluvioni che danneggiano gravemente la produzione. Questi fenomeni sono poi alla base  della crescente piaga della denutrizione in molte zone del mondo, specialmente in quelle aree dove l’economia è ancora legata a sistemi agricoli tradizionali. Tuttavia, questo fenomeno che riguarda principalmente Sud America e Africa( e in misura minore l’Asia) rischia di non risparmiare nemmeno noi che viviamo nell’emisfero nord, poiché l’aumento sproporzionato delle temperature, alterando il grado di acidità delle piogge, arrecherà danni irreparabili alle culture di sussistenza come grano, riso e mais. Se si aggiunge poi che i danni all’ agricoltura contribuiranno a ridurre la disponibilità di cibo, favorendo un aumento indiscriminato dei prezzi dei beni alimentari e la creazione di oligopoli sul mercato, si comprende perché Papa Francesco ha affermato che quello della fame è una vergogna mondiale. Tuttavia, quando si parla di malnutrizione non si deve credere che ciò riguardi solo la denutrizione, essendo in crescente aumento, in molte aree del Nord America e dell’Europa Settentrionale, l’opposto fenomeno dell’obesità. Anche in questo caso  il prezzo elevato dei generi alimentari, dovuto a un difetto evidente nella catena di distribuzione delle risorse, che premia sul mercato  i grandi produttori a discapito di quelli piccoli, non permette a molta gente di accedere a un cibo per loro più salutare. Risulta, allora, evidente come si sia in presenza di un problema unitario, che a seconda delle condizioni assume una veste diversa, avvicinando due mondi lontani ma al contempo molto vicini. Un problema che pare, in definitiva, trovare il proprio comune denominatore  nell’aumento della povertà, nella diminuzione del redito medio pro capite e nella perdita del potere d’acquisto delle valute nazionali.  Non a caso, proprio la FAO ha segnalato come ormai da anni casi di obesità e denutrizione si verifichino indifferentemente tanto nei paesi ricchi che in quelli più poveri della Terra. Una chiara prova, dunque, della globalità del problema  e che come tale non può essere più ignorato da nessuno. Specialmente se si pensa che con il passaggio della Pandemia da Covid 19, la quale ha ingrossato le fila dei nuovi poveri, queste discrepanze saranno destinate a crescere. Sempre più persone, difatti, stando ai dati forniti dalla Caritas, rimaste  senza  lavoro  si affollano davanti alle mense sociali , elemosinando quel cibo che in tanti ancora sprecano. Occorre, dunque, un cambiamento radicale delle politiche alimentari che consenta l’accesso a un cibo sicuro e di qualità per tutti, privilegiando quelle filiere più sensibili a questi valori nutrizionali. Un sistema che favorendo l’agricoltura di piccola scala anziché quella intensiva praticata dalle grandi multinazionali dell’agroalimentare, rimetta al centro i diritti umani e la salvaguardia dell’ambiente. A onore  del vero sembra, comunque, che nella Comunità Internazionale  sia cresciuta la consapevolezza verso questo problema. Ne è una prova il conferimento del premio Nobel per la pace 2020 al programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite finanziato proprio dalla FAO. Un importante riconoscimento che non manca di evidenziare come senza cibo sufficiente per tutti non vi può essere prosperità e senza prosperità non vi può essere nemmeno la pace nel mondo.                                                                                               Articolo di Gianmarco Pucci 

Prove di sano sovranismo europeo

Sembra  ormai chiaro a tutti che il nuovo “Eldorado” dell’era digitale è rappresentato dalla “Data Economy”. Con ogni probabilità, infatti, tutto l’oro e il petrolio presenti attualmente sulla Terra non hanno il valore dei dati. Tuttavia, oro e petrolio presentano un valore correlato all’attività di ricerca, di trasformazione e trasporto che tali materie prime hanno alle loro spalle. I dati ,invece , sono messi gratuitamente ( e molto poco consapevolmente) a disposizione da noi utenti di smartphone, computer e altri “smart devices” che consideriamo, ingenuamente , essere al servizio della sola nostra utilità personale. In questo nuovo mercato 2.0 , una fetta molto appetibile è costituita dal settore del “cloud computing”. Basti pensare che il suo valore a livello globale è passato dai 242,7 miliardi di euro del 2016 ai 364,1 del 2019. Ma in questo settore i problemi non sono solo di carattere etico o legati all’ambito della privacy di ogni cittadino. Si tratta, a ben vedere, di una vera questione di interesse geopolitico, dal momento che la nuvola dei servizi risulta attualmente egemonizzata dagli Stati Uniti d’America, mentre si stima che la quantità dei dati industriali europei gestite da piattaforme cloud nei prossimi cinque anni quadruplicherà, rendendo evidente la necessità di gestire i servizi e i dati strategici a livello intercontinentale. Se si tiene conto poi del fatto che recenti previsioni economiche stimano che nel 2025 l’economia dei dati europei varrà poco più di 800 miliardi di euro, sorge spontanea una domanda: ” perché spedire tale tesoro oltreoceano?” Fortunatamente qui da noi, nel vecchio continente qualcosa si sta muovendo. Germania e Francia, infatti, sono le principali promotrici del progetto “Gaia X”. Si tratta di un’ associazione internazionale senza scopo di lucro, presentata al pubblico il 4 Giugno 2020, alla quale contribuiscono numerose aziende operanti nel settore, con lo scopo di garantire all’Europa una maggiore autonomia dai colossi della Sylicon Valley relativamente alla conservazione e la gestione dei propri dati in cloud. L’obiettivo è quello di costruire una piattaforma sicura in cui aziende, europee e non, possano operare fornendo servizi che rispettino regole e standard europei. I colossi High tech americani hanno già reagito, sferrando le prime contromosse. Ad esempio, il Ceo di Google Cloud, Thomas Kurian, ha rassicurato le istituzioni europee, affermando che il suo team sta già lavorando per offrire, attraverso la nuvola di Google, strumenti per gestire la sovranità dei dati. La partita del primo tentativo di sovranismo digitale europeo è ambiziosa e dai risultati estremamente incerti, ma la posta in gioco in termini economici e di sicurezza interna è fondamentale.                                                                                                                                                                                                                   Articolo di Manuel Galardo

Mani pulite, panni sporchi

Dopo mesi di dibattito infuocato, la sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha deciso di espellere dall’ ordine giudiziario Luca Palamara, ex Pubblico Ministero ed ex presidente dell’ANM, indagato per corruzione dalla Procura di Perugia. Nella motivazione che giustifica la radiazione si legge che esso avrebbe tenuto una condotta giudicata lesiva del prestigio e dell’onore della magistratura oltre che di inaudita gravità. Tuttavia, l’ espulsione così decretata , ha sollevato dei dubbi sia riguardo la trasparenza della procedura adottata sia verso il merito della sentenza. Si è, infatti, assistito a un processo “lampo”, espletato in una dozzina di udienze, in cui non sono stati sentiti i testimoni chiamati a deporre per la difesa(sostenuta per l’occasione dal consigliere di Cassazione Stefano Giaime Guizzi) e in cui si è emesso un verdetto in un tempo davvero da record di appena tre ore. Un processo, come ha ricordato l’ex procuratore Carlo Nordio, degno della Russia di Stalin, nel quale, a ben vedere, sembra che la magistratura abbia voluto assolvere se stessa, condannando Palamara e assegnandogli l’infausto ruolo di capro espiatorio dell’intero sistema. Nel comminare la sanzione ,infatti , i giudici dell’accusa si sono soffermati principalmente sul ruolo che Palamara ha avuto nel condizionare le nomine ai vertici delle procure, sulla sua opera di mediazione fra le correnti presenti nella magistratura e sui suoi rapporti con la politica. Non stupisce, dunque, che nel ricostruire i fatti, i giudici incaricati dell’accusa abbiano dato peculiare rilievo all’incontro, avvenuto l’8 maggio 2019 all’hotel Champagne di Roma, in cui Palamara, con i deputati Luca lotti(PD) e Cosimo Ferri(Italia Viva)  e cinque consiglieri in carica del CSM si accordavano per ottenere la nomina di Marcello Viola( capo della procura di Firenze) al vertice della procura di Roma. Ciò è, infatti, funzionale all’obiettivo che essi si sono prefissati: preservare le posizioni di potere interne alla magistratura, occultando lo scandalo. L’accusato, però, non sarebbe propenso ad accettare tale ricostruzione che lo vuole mela marcia nel cesto sano e ha già promesso battaglia. Ospite a Radio Radicale, ha annunciato ricorso in Cassazione e alla Corte di Strasburgo contro quella che a suo dire è una vera ingiustizia verso  un magistrato che mai ha svenduto la sua nobile funzione per ottenere illecite prebende. Sempre secondo esso, la sua principale colpa è quella di essersi prestato al gioco delle correnti interne alla magistratura, che da quarant’anni orientano il governo e le nomine ai vertici della magistratura italiana. Proprio le correnti si opporrebbero a qualsiasi riforma del settore ,rendendo pressoché impenetrabile un sistema giudiziario giudicato ormai da molti obsoleto.A tal proposito, quando proprio Palamara pone l’accento sulla necessità di separare le carriere e di superare l’obbligatorietà dell’azione penale non si può dire che affermi un eresia. Quante volte è capitato in questi anni di assistere a un uso arbitrario da parte di alcune procure di questo principio, dando sovente luogo a conflitti, più o meno marcati , con gli altri poteri dello Stato ? Quante volte attraverso l’uso indiscriminato delle intercettazioni ambientali e della carcerazione preventiva si sono lesi diritti di persone prima incolpate e poi scagionate dopo essere state messe alla gogna? il caso emblematico di Enzo Tortora dovrebbe, al riguardo, essere d’ insegnamento per tutti coloro che si accingono a diventare giudici, non potendo chi giudica essere esclusivamente bocca della legge. I radicali, per ovviare a queste evidenti discrepanze che investono il potere giudiziario, chiedono da anni, ormai inascoltati da una politica sempre più insipiente, una bicamerale sulla giustizia. Bicamerale che consentirebbe, giustamente,  di riaffermare quel principio sancito dalla nostra Costituzione all’articolo 3 che vuole la giustizia  amministrata in nome del popolo e dove nessuno è al di sopra della legge, neanche i magistrati. Lo si richiede, perché in questi ultimi decenni è prevalsa, complice il progressivo indebolimento della politica, una narrazione distorta della realtà dei fatti, che ha indebitamente celebrato la figura del giudice elevandolo al rango di eroe civile. Da Mani pulite in poi abbiamo visto un crescente protagonismo dei magistrati, divenuti moderni Robin Hood della giustizia che a colpi di sentenze tentano di riscrivere la storia del paese, rivendicando una presunta superiorità morale rispetto agi altri poteri dello Stato( in primis legislativo ed esecutivo ). Non si deve, comunque, credere che costoro nel portare avanti questa guerra alle istituzioni siano stati soli. Parte in causa importante in questo processo di degenerazione democratica, l’hanno avuta  soprattutto certi giornali e alcuni partiti politici, i quali gonfiando le cupe trombe del giustizialismo hanno pensato di portare acqua al loro mulino. Ecco perché non ci si può , di fronte a uno scandalo di tale rilevanza , voltare dall’altra parte, ignorando la reale estensione del fenomeno corruttivo all’interno della magistratura italiana, che è certamente molto più  ampio di quello che vogliono farci credere. Questa volta i panni sporchi non verranno lavati in famiglia e le dichiarazioni di Luca Palamara, che ha minacciato nuove rivelazioni inerenti questa triste vicenda, sembrano serbare proprio questa promessa. Se, dunque, nel 1992 è terminata l’età dell’innocenza della politica, oggi ,nel 2020, si può tranquillamente affermare che è finita quella della magistratura. Aspettiamoci, quindi, altre sorprese, perché la caduta degli Dei è solo agli inizi.                                                                                                                                                     Articolo di Gianmarco Pucci

Fratello uomo

Ieri, 4 Ottobre 2020, nel giorno dedicato alla celebrazione della figura di San Francesco d’Assisi, innanzi alla comunità francescana riunitasi  nel piccolo centro dell’ Umbria, Papa Francesco ha firmato la sua ultima Enciclica dal titolo quanto mai evocativo: “Fratelli tutti”. Nella sua Enciclica, il Pontefice richiama, oltre che importanti passi del Vangelo, soprattutto gli insegnamenti del Santo “poverello”, che fece dell’umiltà e della misericordia verso gli ultimi il tratto distintivo della sua predicazione. Proprio questi vengono rielaborati da Papa Francesco alla luce degli avvenimenti presenti  che hanno sconvolto la vita di tutti noi( in primis la Pandemia da Covid 19). La lettera, dall’ inequivocabile sapore francescano, si sofferma poi sulle principali problematiche di un mondo che sembra sempre di più cadere vittima del demone dell’autodistruzione. Questa tentazione nichilista, che nel nostro tempo prende le forme dell’intolleranza e della violenza cieca , si erge con protervia a contrastare la fratellanza fra gli uomini, negando l’importanza del dialogo fra le genti.  Si comprende, allora, perchè Papa Francesco, non mancando di esaltare la figura del santo di Assisi , che nel suo testimoniare la  fede mai ha fatto ricorso all’invettiva  dialettica, preferendo, al contrario,  la comunicazione gentile della parola di Dio, ha deciso di porre al centro del suo messaggio ai cattolici proprio la fratellanza fra gli uomini. Il Pontefice si è poi soffermato sul rapporto fra fede e politica, impiegando la metafora del Buon Samaritano che aiuta lo sconosciuto, il diverso per puro spirito caritatevole. Principio questo che dovrebbe, a detta di Francesco, guidare tutti i cristiani che rivestono funzioni di governo. Un chiarissimo invito, dunque, affinchè la politica  si prodighi, con abnegazione e spirito di servizio, per costruire una società  migliore. Infatti, per guarire un mondo iperglobalizzato come quello attuale servono risposte altrettanto universali, altrimenti non  vi potrà essere nessuna autentica innovazione. Tale cambiamento, se ci sarà,  non potrà che avvenire nel segno di una ritrovata concordia fra le persone, senza, quindi, alimentare odio e divisioni. A tal proposito il Santo Padre ha biasimato quelle ideologie, ribattezzate come populiste, che immaginando un mondo di muri e non di ponti di pace, finiscono per magnificare il materialismo del profitto e ignorare il tema della dignità umana. Ecco perché  la secca presa di posizione del Santo Padre contro il populismo  non può che essere vista, perlomeno a parere di chi scrive, come una autentica scomunica, nei fatti, di tutti coloro che falsamente si dicono cristiani, ma che in realtà usano la fede per seminare zizzania( che è poi la farina del Demonio e va sempre in crusca). Sempre alla politica spetta il fondamentale compito di lottare la povertà , colmando le disuguaglianze prodotte dalla società dei consumi e tutelando, soprattutto, il lavoro. Al riguardo, il  Papa ha elogiato i movimenti popolari impegnati nel sociale, auspicando un loro coordinamento unitario che spinga i cattolici verso un maggiore attivismo politico. l’ Enciclica ha poi posto l’accento sulle  istituzioni internazionali preposte alla tutela dei diritti umani e della pace globale come l’Onu. Il Papa ha ,infatti, sollecitato una riforma delle Nazioni Unite, chiedendo di dare maggiore peso alle deliberazioni di essa, poiché  solo la collaborazione amichevole fra le nazioni può risolvere i gravi problemi del pianeta come  la guerra e la fame. Relativamente alla prima Papa Francesco si è speso per chiedere una drastica riduzione delle armi nucleari e di quelle chimiche, le quali provocano più vittime fra civili innocenti che fra gli eserciti impegnati in operazioni militari. Per la seconda, invece, ha insistito sulla necessità di debellare la piaga della fame nel mondo, che uccide ogni anno milioni di persone, specialmente bambini, aggiornando i programmi umanitari esistenti per l’Africa e l’Asia. Infine, è tornato a condannare la pena di morte, chiedendone l’abolizione in tutto il mondo, perché in radicale antitesi con il messaggio evangelico che indica all’uomo la via del perdono e non della vendetta per ottenere giustizia. A conclusione della sua lettera, Papa Bergoglio si è poi soffermato sulle sofferenze patite dai cristiani perseguitati, ancora oggi, in molte parti del globo. In risposta a tale problema,  il Santo Padre ha elogiato quanti, in tutti i tempi della storia, si sono adoperati per la libertà religiosa, sacrificando la propria vita. L’Enciclica ha proprio menzionato figure importanti del secolo scorso come Martin Luther King e il Mahatma Gandhi, quali esempi di virtù cristiane. In definitiva, a prescindere dal credo di ognuno, le parole del Pontefice, toccando temi di drammatica attualità, non possono che essere condivise e ci lasciano un briciolo di speranza per l’avvenire. Francesco d’Assisi, infatti, nel suo insegnamento liturgico di amore verso il prossimo, ci ha trasmesso proprio l’importanza del valore della fraternità fra le persone, senza alcuna distinzione per fede o per razza. L’importanza del dialogo fra opposte visioni va, perciò, oggi riaffermato con più forza, prima che  contro il Coronavirus, contro un virus ancora più subdolo: quello dell’ indifferenza.                                                                                                                                 Articolo di Gianmarco Pucci

Se l’America piange, l’Italia non ride

Nella notte di Martedì, a Cleveland, Ohio, si è disputato il tanto atteso dibattito televisivo fra il presidente degli Usa Donald Trump e lo sfidante democratico Joe Biden. L’incontro, ospitato dalla rete conservatrice Fox Tv, sarà solo il primo dei quattro appuntamenti previsti prima del giorno delle elezioni presidenziali che si terranno il prossimo 3 Novembre. In verità, l’incontro, o forse sarebbe meglio dire lo scontro, non ha smentito i pronostici, i quali facilmente avevano previsto un dibattito molto acceso fra i due candidati alla presidenza. Solo che in questo caso si è andati oltre il consentito e alcune accuse che i duellanti si sono lanciate a vicenda erano davvero di pessimo gusto, gravemente diffamatorie per qualunque persona si fosse trovata al loro posto. Donald Trump, la cui rielezione secondo molti sondaggi è a rischio , pur di vincere non ha esitato a mostrare il suo lato peggiore, sfoderando una ferinità verbale che a stento il moderatore del dibattito, Chris Wallace, è riuscito a trattenere. Ha infatti esordito definendo Biden uno stupido, una marionetta in mano alla sinistra radicale e ha proseguito nei novanta minuti successivi ,mantenendo lo stesso tenore dialettico e lasciando attoniti tutti quelli che hanno avuto la sventura di sentire le amenità  che sono uscite dalla sua bocca. Tuttavia, proprio Biden, dal canto suo,  pur non dimostrandosi eccessivamente spigliato , è riuscito a rimanere sufficientemente lucido per replicare agli insulti di Trump, ripagandolo con la stessa meschina moneta( lo ha etichettato con i termini di bugiardo e clown). Nel prosieguo, il presidente Usa ha elencato, perfettamente in linea con il suo stile, i successi della sua amministrazione a partire della gestione dell’emergenza Covid, che lui continua a soprannominare “peste cinese” . Relativamente ad essa , Trump ha rivendicato per sé il merito di avere prontamente chiuso i confini, impedendo al virus di fare milioni di morti negli Usa. ha, inoltre, attribuito alle sue indubbie capacità manageriali i risultati, a suo dire positivi, dell’ economia Usa , dove il tycoon non ha mancato di evidenziare come  la disoccupazione sia scesa sotto la soglia  dell’ 8% nonostante  nel paese si viva la più grave tragedia sanitaria dai tempi della Sars. Fin qui nulla di nuovo: Trump ha recitato il ruolo che più gli è consono ovvero quello dell’uomo della Provvidenza che parla alla pancia dell’America profonda e si propone di salvarla dalla distruzione a cui i progressisti l’hanno indotta con le loro scelte scellerate. Indubbiamente è un ruolo che sostiene bene, ma che non convince più tanti, stanchi ormai della brutale retorica Trumpista. Ma se il presidente si è dimostrato un temibile lottatore televisivo, spregiudicato e pronto a tutto, l’assonnato Joe Biden, invece, ha comunque mostrato maggiore sicurezza riguardo al tema dei diritti delle minoranze e della lotta al razzismo. Ha , infatti,  accusato Trump di favorire il razzismo e le  divisioni all’interno della società americana, suscitando anche qui la dura reazione dell’avversario. Il presidente ha, infatti, glissato sui  suprematisti bianchi ,non condannandoli apertamente,  ma anzi ha  incolpato delle violenze la sinistra radicale. Quest’ultimo si è rivelato un autentico passo falso, tanto è vero che molti repubblicani hanno preso le distanze dalle dichiarazioni del presidente . Inoltre, egli  si è reso reticente, allorché il moderatore glielo  ha chiesto, nel fornire giustificazioni riguardo alla propria dichiarazione dei redditi, insolitamente bassa per un miliardario( solo 750 Dollari nell’ultimo anno). Trump ha risposto affermando genericamente di aver pagato milioni di Dollari all’erario e di aver usufruito degli sgravi fiscali messi a disposizione dall’amministrazione Obama di cui Biden era vicepresidente. Al contrario Biden , che negli ultimi minuti del confronto era riuscito a recuperare consistentemente rispetto allo sfidante, ha preso una clamorosa scivolata, incartandosi sulle vicende inerenti il figlio Hunter, accusato da Trump di essere un drogato che sfrutta l’influenza del padre per fare affari con i russi, da cui avrebbe  ricevuto in cambio  considerevoli donazioni per la campagna elettorale.  Il resto del comizio tv si è soffermato sui cambiamenti climatici, dove anche in questo caso, secondo gli analisti, Biden è andato meglio di Trump e soprattutto sulla nomina del giudice della Corte Suprema che dovrebbe sostituire Ruth Gingsburg, magistrato progressista morta il mese scorso. Donald Trump vorrebbe coprire la casella mancante, nominando un giudice ultraconservatore( Amy Coney Barrett), nomina che impensierisce l’opposizione democratica, perché sbilancerebbe eccessivamente a destra l’orientamento della Suprema Corte. La nomina avrebbe conseguenze anche nel caso in cui il risultato elettorale non dovesse profilarsi sufficientemente chiaro all’indomani del 4 Novembre, avendo già paventato Trump di ricorrere proprio alla Corte Suprema in caso di mancata rielezione per denunciare presunti brogli, che a suo dire, i democratici starebbero già perpretando. Al riguardo,  il Tycoon si è scagliato pesantemente contro il voto per posta, modalità non affidabile secondo lui per votare, ma che rischia di divenire l’unica praticabile se il Coronavirus dovesse tornare, nei prossimi giorni, oltre il livello di guardia. Complessivamente si può affermare che a trionfare in questo primo duello tv non è stata la cortesia o la pacatezza, ma la volgarità. Non  a caso è stato definito il peggiore della storia degli Stati Uniti d’America. Mai si era visto due candidati alla presidenza usare un lessico tanto prevaricatore e scurrile, tipico più di alcuni reality show come The Apprentice o  il Grande Fratello, che di una tribuna elettorale. Prova ne è che gli organizzatori, per evitare effetti indesiderati, fuorvianti per il pubblico, hanno deciso di correre ai ripari. Ma sarà sufficiente tutto questo a placare il clima di odio che sta caratterizzando questa singolare campagna elettorale? In verità ciò che avviene in tv non  è altro che lo specchio di ciò che avviene in un paese, fra la gente. In questo caso non si può negare che l’America e gli americani negli ultimi quattro anni siano molto cambiati, quasi avessero  subito un mutamento genetico. Chi vincerà a Novembre dovrà dare risposte concrete a un popolo disilluso e arrabbiato, attraversato da tensioni e conflitti sia razziali che sociali, che sono alla base delle violenze esplose, negli ultimi mesi, in molte città statunitensi. Tali fatti aprono una finestra su un futuro cupo per la democrazia a stelle e striscie. Un futuro che potrebbe compromettere il  ruolo degli Usa come prima potenza mondiale e il suo ruolo di nazione leader dell’Occidente. Ecco perché quello che avviene dall’altra parte dell’Atlantico non  può lasciarci indifferenti. Del resto, come dice un vecchio proverbio, se l’America piange, l’Italia non ride.                                                                                                                        Articolo di Gianmarco Pucci

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