Racconto di una rivoluzione mancata

Il 1968 è stato senza ombra di dubbio uno degli anni più significativi nella storia del XX Secolo. Un anno che, come una rapida istantanea, ha ritratto un periodo, incorniciando quella stagione di grandi speranze iniziate nel 1960. Tuttavia, nonostante l’economia mondiale prosperasse, erano ancora molte le contraddizioni generate dalla moderna società dei consumi. Contraddizioni che descrivevano un mondo fermo al decennio precedente, in cui le differenze sociali e razziali erano ancora predominanti. Infine, la Guerra Fredda, la costate minaccia nucleare e ,da ultimo, l’insorgente conflitto in Vietnam, restituivano un quadro della situazione internazionale fortemente precario, costruito sulla temporanea non belligeranza fra Usa e Urss. È, dunque, in questo contesto che matura la contestazione giovanile nelle università americane. le prime proteste iniziarono a Berkeley, in California. Qui gli studenti, seguendo gli insegnamenti filosofici di Herbert Marcuse, occuparono il campus per ore, protestando contro la guerra in Vietnam e gli stili di vita imposti dal consumismo. Per i giovani, in perfetta sintonia con il credo gandhiano della non violenza, occorreva costruire un mondo nuovo, senza più frontiere né muri, in cui la libertà poteva essere fruita da tutti. Fu così, seguendo l’onda lunga delle proteste negli Usa, che la contestazione giunse, nel giro di pochi anni, anche in Europa. Uno straordinario ruolo di propaganda, in tal senso, fu svolto dalla televisione, che trasmettendo quotidianamente le immagini delle proteste in America contribuì  a rendere la rivolta globale. In Italia la prima università a venire occupata fu quella di Trento nell’Autunno del 1967. A seguire la Cattolica di Milano, la Normale di Pisa, le Università di Torino, Napoli e Roma. Nella Capitale, il Sessantotto si materializzò all’indomani dell’occupazione della Facoltà di Architettura, a Valle Giulia, in cui gli scontri particolarmente cruenti con la polizia furono motivo di biasimo da parte di politici e intellettuali( tra cui Pier Paolo Pasolini) e suscitarono un certo allarme sociale nell’opinione pubblica. La contestazione, infatti, iniziò ad assumere venature politiche sempre più evidenti e, con il passare dei mesi, coinvolse anche gli operai. Essi, dal canto loro, diedero vita a un vivace movimento di lotta che ambiva a colmare le diseguaglianze generate dalla società del benessere. Tale convergenza di idee fra il movimento studentesco e quello operaio si realizzò compiutamente in Francia. Soprattutto a Parigi, dove nel mese di Maggio migliaia di persone scesero in piazza per contestare il governo di De Gaulle e la vecchia società tradizionalista, capitalista e imperialista che il generale rappresentava( fu il cosiddetto Maggio francese). Il connubio fra studenti e operai durerà qualche anno e produrrà effetti anche in Italia, raggiungendo il suo apice nell’Autunno caldo del 1969. Tuttavia, nonostante i suoi genuini propositi, la contestazione ebbe vita breve, risolvendosi in un mero fuoco di paglia. Gli storici più accreditati, a tal riguardo, sono ormai concordi nell’affermare che essa fu una rivoluzione culturale mancata. Pur muovendo da giuste premesse di rinnovamento della società, essa ha finito troppo presto per arenarsi sul progetto, chiaramente utopico, di costruire un mondo ideale, senza più classi sociali o status privilegiati. Tale premessa porterà, all’indomani del fallimento della contestazione, alla radicalizzazione del dibattito socio-politico e alla nascita del terrorismo durante gli “anni di piombo”. Fulgidi esempi di tale deriva violenta sono state certamente le Brigate Rosse in Italia e la banda Baader-Meinhof in Germania. Eppure, nonostante la schizofrenia ideologica che lo  ha contraddistinto, il Movimento del “68” ha comunque contribuito, a suo modo, al progresso della società. Se, infatti, non è riuscito a fornire un modello di società, diverso e alternativo, rispetto a quello avversato, è però stato capace di incidere sull’evoluzione dei suoi costumi, anticipandone gli effetti. Dalla musica al cinema, dalla radio alla tv, fino alla moda e al linguaggio sono state tante le novità che il “68” ha introdotto, svecchiando una società troppo spesso bigotta e perbenista. In questo senso le grandi battaglie degli anni “70” a favore della legalizzazione dell’aborto e del divorzio sono sicuramente da ritenere il più grande lascito di questo fenomeno che ha riscritto la storia del Novecento.

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