La settimana scorsa ,a Bruxelles, è stato raggiunto, dopo estenuanti trattative , l’accordo sul Recovery Fund, il super piano d’ investimento da 750 miliardi di euro che l’Europa metterà a disposizione, a partire dal secondo semestre dell’anno prossimo, dei paesi rimasti colpiti dall’emergenza Covid 19. L’accordo, di cui l’ Italia beneficerà per la cifra record di 209 miliardi, segna certamente un punto di svolta sotto il profilo dei rapporti di forza all’interno dell’Unione. Unione Europea che sembrava nei giorni “caldi” della trattiva prossima a imboccare un pericoloso vicolo cieco a causa dei diktat posti da alcuni paesi del nord Europa. Questi, in nome di una generica quanto artificiosa frugalità, hanno tentato di giocare a rialzo, adducendo come giustificazione l’inveterato pretesto secondo cui l’Italia sarebbe un paese di “spreconi”, perennemente sovra indebitato e incapace di fare le riforme che l’Europa chiede da sempre. Riforme certo, ma quali sarebbero? perché se è vero, come è vero, che le nostre classi dirigenti negli ultimi lustri non hanno brillato per parsimonia, è anche vero che vi è stato un atteggiamento poco propositivo da parte dell’UE verso il nostro paese. Ciò è accaduto, principalmente, per via del costante sforamento da parte dell’Italia del rapporto deficit/PIL. Tuttavia, proprio quest’ultimo, come evidenziato in un importante saggio del 2010 da Joseph Stiglitz e Jean Paul Fitoussi, sarebbe un indice errato per misurare il benessere delle nostre economie e di conseguenza la qualità delle nostre vite. Qualità della vita , che come ha giustamente sottolineato Amartya Sen nel medesimo saggio,non può prescindere da una maggiore attenzione verso l’ambiente che ci circonda, rendendosi auspicabile l’opportunità di coniugare crescita e rispetto dell’ecosistema. Del resto dovrebbe essere chiaro a tutti che se una macroeconomia si ritrova avvinta in una spirale recessiva, drogata dal dogma della crescita, il modo più sbagliato per tirarla fuori dal baratro è quello di ricorrere all’austerity. Illuminante, a tal proposito, dovrebbe essere la lezione di John Maynard Keynes e dei suoi seguaci, che da decenni sostengono la necessità di un più vigoroso intervento dello Stato come regolatore dell’economia, in antitesi a quanti ancora oggi obiettano il contrario. Secondo Keynes ,infatti, in periodi di stagnazione dell’economia senza un forte stimolo da parte dello Stato per fare ripartire consumi e investimenti uscire dalla crisi è pressoché impossibile. Dunque è doveroso un cambio di passo, mettere da parte i vecchi schemi ideologici ed evitare che la recessione che si aprirà dopo la fine di questa emergenza ponga la parola fine al progetto europeo a causa del ripetersi degli errori del passato. Per fare ciò è pertanto necessario avviare un nuovo corso, un “New Deal” , che anziché idolatrare il mercato si preoccupi primariamente delle persone e specialmente di coloro che sono più bisognosi di aiuto; che abbia un occhio di riguardo per l’ambiente in cui l’uomo si trova a vivere e ad operare, tematica quest’ultima non più eludibile alla luce dei gravi cambiamenti climatici che stanno sconvolgendo il nostro eco sistema. Solo così l’Europa potrà rivendicare quel ruolo di patria comune della libertà, della democrazia e dell’uguaglianza che geneticamente le appartiene di diritto, ma che purtroppo ad oggi fatica ad affermarsi.
Molto interessante, un’analisi lucida ed equilibrata, che condivido in pieno! Seguirò questo blog!
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articolo sintetico e molto interessante…tutto quello che c’ è da sapere sull’ argomento
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